Passarono giornate di una violenza e dalle molte violenze inaudite. Giornate in cui tutto bruciò in una fiammata: i dubbi, la paura di non arrivarci più, qualche centimetro di pelle, le ore di lavoro.
In fondo al ventricolo sinistro stazionava un’area acinetica da anni, la cui presenza tuttavia consentiva al marchingegno di funzionare, subdolamente silente nel creare danno: una buona gittata, una contrattilità residua ineccepibile, forse qualche segno d’ipertrofia concentrica che rendeva l’outflow più difficoltoso in presenza di ottimali compensi periferici.
Passarono minuti di puro terrore, in cui il pensiero più forte è tipo come fa a starci tutto quel sangue dentro a un cristiano. E qualche mezz’ora di tenerezza in un mondo che era ed è il mio, dove spero di riaffacciarmi da grande e saggia.
Del resto, una delle prime cose che mi hanno detto fu “ore di noia e attimi di terrore“. Passerà la tua prima urgenza e sarà sfiancante. Passeranno le rotture di varici e di aneurismi, i cesarei d’urgenza, le insufficienze respiratorie.
“Un buon anestesista non serve a niente se non sa cacciare un tubo in trachea”.
Passarono già diverso tempo fa le lacrime dei parenti e il nervosismo dei colleghi, e ti sembrerà di non volerlo fare questo mestiere di merda.
“Se io che sono ipointelligente so mettere un catetere in arteria polmonare tu lo saprai pure gestire il tuo cuore spezzato, no?”, dico alla mia amica. Ma tanto non mi dà retta. Passarono tante mazzate, passerà anche questa. Non mi rompere le palle che devo scrivere la tesi sul delirio post-operatorio.
Poi passarono le sale del trapianto e la gioia del Seldinger che flotta preciso all’interno della giugulare. Un abbraccio, un buffetto, un complimento, allora è proprio qui che devo stare, allora è il mio, allora posso farcela.
Allora forse amare questo lavoro non mi ucciderà, è più probabile che mi giochi un segmento o due con tutti i gin tonic che butto giù nel weekend.
Passarono settimane e il marchingegno infernale non smise di funzionare ma il sangue cominciò a fluire nuovamente, le camere si riaffacciarono a quella danza armoniosa dimenticata da troppo tempo.
E fu il sole e fu il vento, più un freddo micidiale che sembra quello un po’ secco di Berlino, come quello che c’è in questi giorni a Pisa.
Passarono le paturnie e le liti, come passano facilmente in questi giorni. Ma erano altri tempi, ci vivevamo di più perché avevamo tempo anche se ci sembrava di non averne per colpa degli esami, del perduto amore, delle bollette da pagare e quelle puttanate lì.
Passarono ed ora siamo qui.
Qualcuno mi ha detto che nell’urgenza bisogna pensare proprio al qui e ora, ma anche al fatto che in qualche maniera quella mezz’ora d’inferno e fiale di adrenalina portate a 500 emme-elle finirà.
Qualcun altro a cui voglio un bene incredibile, sulla falsariga di ciò, mi ha detto che me ne devo fregare perché comunque vada andrà bene. Perché te sei te. Che te ne importa.
Un cheesecake alle tre di notte in cucina, due gossip e io sto bene.
Poi si rompono altre varici e ho una paura cane.
Probabilmente sono pazza e bipolare.
Ma.. Quando fa freddo io sono contenta, basta che ci sia il sole.
- Hai in mano la carta vincente: il tuo cuore. Tu credi che sia una debolezza, ma se l’accetti per quello che è, l’orologio-cuore ti renderà speciale.